Marettimo: alla scoperta del Castello di Punta Troia

E’ probabilmente del periodo saraceno la costruzione di una torre di avvistamento sul promontorio di Punta Troia.

Durante la dominazione araba l’isola venne chiamata Gazìrat Malitimah.

Attorno al 1140 Ruggero II, re di Sicilia, trasformò la vecchia torre saracena di Punta Troia in un vero Castello a presidio dell’ estremità occidentale del regno più ricco e potente del Mediterraneo di quel periodo.

Nei successivi periodi di dominazione sveva, angioina e aragonese Marettimo seguì le sorti della Sicilia, accentuando un isolamento che ebbe il culmine durante il lungo dominio spagnolo, quando la parte di ponente dell’isola divenne ricettacolo di pirati e corsari di tutte le risme, con una prevalenza di quelli saraceni. I pochi abitanti erano costretti a vivere in grotte e l’unico vero presidio del potere centrale era costituito dal Castello e dalla sua sempre più esigua guarnigione.

Nel 1637 la Corona spagnola, in bancarotta per le continue guerre, cedette l’arcipelago delle Egadi al marchese Pallavicino di Genova. Nel 1651, al largo tra Marettimo e Levanzo, verso nord-est, venne trovato un grosso banco di coralli, e l’isola ospitò le barche dei corallari trapanesi, che passavano la notte allo Scalo Maestro, sotto la protezione della guarnigione del Castello di Punta Troia.

Fu alla fine del XVIII secolo che l’isola cominciò a essere popolata in pianta stabile. In quel periodo il sovrano Ferdinando IV di Borbone, spinto dall’illuminato viceré Caracciolo, aveva iniziato timidi tentativi di riforma dello Stato e di valorizzazione dei territori del regno. Con la Rivoluzione francese, sotto il viceré Caracciolo, il “Real Castello del Maretimo” divenne orrida prigione, soprattutto per prigionieri politici: nel 1793, in tempi di repressione antigiacobina e grande carestia, il Castello contava ben 52 prigionieri politici, ammassati in una prigione ricavata in una vecchia cisterna detta ”la fossa”.

Le condizioni della prigione vennero descritte nelle sue Memorie da Guglielmo Pepe, qui rinchiuso dal 1802 al 1803. Dal settembre del 1822 al giugno del 1825 la fossa di Marettimo ospitò il marchigiano di Sant’Angelo in Pontano Nicola Antonio Angeletti, carbonaro oppositore del Regno di Napoli, che ci ha lasciato una dettagliata pianta da lui stesso disegnata su come era organizzato il forte di Marettimo. Nella fossa furono rinchiusi anche il foggiano Nicola Ricciardi; il pittore siracusano, ma napoletano di origine, Antonio Leipnecher, e Gennaro Petraglione.

E poi il napoletano Ferdinando Giannone Carmine Curzio, il palermitano Bartolomeo Milone, il sacerdote don Pasquale Barbieri e l’arciprete Vincenzo Guglielmi (o di Gugliemo) di Andretta, in provincia di Avellino, trucidato nella fossa assieme all’avvocato Nicolò Tucci “per un gioco di parole malamente interpretate dai militari di guardia”.

Nel 1844 il re Ferdinando II, dopo averlo ispezionato, abolì il Castello. Insieme cadde in rovina la vicina chiesetta dedicata a Sant’Anna e la cappelletta dedicata a Maria SS. delle Grazie, unico luogo sino a quel momento in cui i marettimari potevano ricevere i sacramenti. A metà Ottocento gli abitanti di Marettimo lasciarono le grotte e cominciarono a costruire le loro casette di tufo. I Florio, con le loro iniziative, stavano facendo rifiorire le Egadi con le tonnare e la coltivazione dei campi, ma per Marettimo ciò non bastò: le condizioni della comunità marettimara erano tali che cominciò, inarrestabile, il flusso migratorio “di qua e di la dal Mare” verso il Nord Africa, il Portogallo e, successivamente, le Americhe fino alle gelide acque dell’Alaska per la pesca al salmone.

Oggi il centro abitato è racchiuso in un unico agglomerato non più lungo di 300 metri circa e largo 200. I residenti vivono per la maggior parte di turismo, ma in un non lontano passato la gran parte della popolazione era costituita da validissimi pescatori e naviganti, esperti salatori di pesce e, non ultimo, da bravi agricoltori e apicoltori.

Note storiche a cura Associazione C.S.R.T. di Marettimo

Il Castello di Punta Troia, di proprietà del Comune di Favignana isole Egadi, oggi e sede del Museo delle Carceri e Osservatorio “Foca Monaca” dell’Area Marina Protetta. Meta turistica da visitare per godere dell’incantevole scenario naturalistico.

Testo tratto dall’opuscolo distribuito dal Comune di Favignana. Info: +390923 923171

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