Le tonnare mediterranee richiamano anzitutto un’immagine, che è simbolo e luogo comune a un tempo di pesca cruenta e di curiosità folcloristica. Questa tonnara è quasi sempre siciliana.
Un’attività complessa, un tempo vitale per alcune contrade costiere, dai risvolti storico territoriali abbastanza profondi, viene così ridotta al suo momento conclusivo, la mattanza, e più o meno inconsciamente identifica con un fatto ludico pseudo-turistico, quasi come il “momento della verità” delle corride iberiche.
Il significato geo-economico della tonnara, e della grande tonnara in special modo, è invece molto più esteso: la fine degli ultimi grandi impianti di questa antica attività marinara costiera simboleggia il processo di estinzione, a volte lento, a volte celere, del mondo mediterraneo, con i suoi sistemi di microeconomie in simbiosi, di splendide sopravvivenze di culture materiali destinate a soccombere nell’impatto della “aspazializzazione” tecnologica e massificante, forse anche per incapacità di rinnovamento.
Le maggiori tonnare del Mediterraneo, delle quali in Val di Mazara esistono esempi eccellenti, sono (o per meglio dire sono stati) qualcosa di più che ingegnose trappole per la cattura di un famoso pesce migrante di antica fama gastronomica. Francesco Carlo d‘Amico, autore all’inizio dell’Ottocento di un interessante trattato sulle tonnare siciliane, parla di “ubertosa pesca”, di “fertilità della pesca”, con palese analogia ai raccolti della terra, al mare costiero percepito come fecondo donatore e moltiplicatore di vita.
Gli impianti in Sicilia sono sempre stati più numerosi per rilievo economico che in qualunque altra regione rivierasca mediterranea sia per la posizione dell’isola sia per la vocazione marittima di ampie sezioni dei suoi litorali, rinsaldata dalla fittezza del popolamento. Il D’Amico ricorda una quarantina di tonnare “di corso”, cioè destinate alla migrazione di andata dallo Stretto di Messina a Sciacca, e una dozzina di impianti per la cattura dei tonni “di ritorno”, cioè dopo il periodo riproduttivo sui litorali meridionali ed orientali dell’isola. Fonti d’archivio ricordano all’incirca le stesse tonnare menzionate dal D’Amico oltre due secoli dopo ed ancora alla fine dell’Ottocento la gran parte di esse erano in opera.
La vera decadenza inizia tra le due guerre mondiali, ma soltanto dalla fine degli anni cinquanta diventa rapida e inarrestabile.
La crisi in Sicilia rispecchia quella generale di tutto il Mediterraneo, ma è ancor più grave perché l’isola è sempre stata il fulcro della cattura del tonno. Posta com’è al centro del Mediterraneo, e quindi partecipe della corsa e del ritorno dei pesci.
Le sezioni costiere di maggior pesca con gli impianti più antichi e importanti sono il litorale trapanese dal Golfo di Castellammare alle isole Egadi, la costa palermitana (degni di nota sono i ruderi della Tonnara dell’Orsa a Punta Raisi, i complessi di Sòlanto, della Vergine Maria in Palermo, di San Nicola e di Trabia), i golfi di Patti e di Milazzo, il litorale siracusano.
Già dall’entità del pescato tra il 1955 e il 1960 si capisce quali saranno gli impianti destinati a resistere più a lungo: Favignana, regina delle tonnare, la cui produzione eguagliava allora quella di tutte le altre di Sicilia messe assieme, quindi Formica, sull’isolotto omonimo, complementare alla prima; e poi San Cusumano e Bonagia, sulla costa ad oriente di Trapani, e ancora Scopello sul Golfo di Castellammare.
Grandi tonnare storiche, come Oliveri e San Giorgio di Patti nel Messinese, Sòlanto nel Palermitano, Capo Passero e Santa Panagia sulla cuspide sudorientale, denotavano già più di vent’anni fa una produzione esigua, presagio di chiusura.
Un aspetto delle tonnare, meno noto e tuttavia di rilievo storico-geografico-economico, riguarda gli impianti a terra.
Le maggiori tonnare stabili disponevano di cospicui impianti costieri, di supporto all’attività della pesca effettuata con grandi reti fisse ancorate. Si trattava di impianti di due tipi: magazzini e strutture per la custodia e l’assistenza tecnico-logistica all’apparato di pesca (reti, ancore, galleggianti, arpioni, barche ecc.), di solito disposti attorno ad una spianata aperta sul mare (marfaraggio); fabbricati e capannoni, per la lavorazione del tonno pescato e per la sua conservazione, situati spesso assieme alle dimore per il capociurma (Rais) e i pescatori (Tonnaroti) attorno ad un ampio cortile (bagghiu).
Questi impianti di lavorazione hanno talora raggiunto le dimensioni di veri opifici industriali, specie quando, nella seconda metà dell’Ottocento, si diffuse la lavorazione del tonno inscatolato sott’olio, una tipica lavorazione “mediterranea”, poiché adoperava il sale marino, l’olio d’oliva, il tonno fresco di tonnara e l’esperienza di mano d’opera specializzata dalla tradizione.
Gli impianti industriali di maggior rilievo erano legati alle tonnare di Favignana e Formica, di San Vito Lo Capo ed anche di San Cusumano e Bonagia. Qualche stabilimento continua a produrre, ma con sempre maggiore fatica. Quasi tutti rivestono ormai un notevole interesse dal solo punto di vista dell’archeologia-industriale.
Alcuni tra i fattori della decadenza possono individuarsi nell’umanizzazione più intensa dei litorali, nell’inquinamento chimico, organico ed inorganico, nell’inquinamento da rumore che allontana i pesci, nella concorrenza delle navi-tonnara giapponesi o di minori ma attrezzati navigli italiani (che rifornisce di tonno congelato la grande industria alimentare), nella difficoltà nel reperire rais e ciurme preparati e disposti ad una vita stagionale dura e segregata, nella convenienza per i proprietari degli impianti a lasciarsi sedurre dalle lusinghe della speculazione turistico-edilizia: una grande tonnara trasformata in residence “fa vacanza diversa”.
Almeno un impianto potrebbe, anzi dovrebbe, essere salvato, e destinato ad una fruizione culturale, come il “museo della tonnara”, che includa lo stabilimento industriale.
L’impianto di Favignana è stato quello che più di ogni altro ha realizzato questo obiettivo.
Favignana: torna la Mattanza, articolo di Repubblica 26-02-2016
Visita nostro articolo: La Tonnara Florio a Favignana, il Museo delle Isole Egadi